Biennale di Architettura di Venezia 2014. Italia – Milano, fundamentals

di Jacopo Muzio

Articolo originale: http://news.mytemplart.com/it/2014-venice-architecture-biennale-italia-milano-fundamentals/

Una Biennale di Architettura poco frequentata è quella ospitata negli affascinanti spazi dell’Arsenale e dei Giardini di Venezia, quest’anno eccezionalmente estesa dal 7 giugno al 23 novembre e curata da Rem Khoolaas.

La penuria di visitatori corrisponde forse al “fondamentale” disinteresse del pubblico italiano nei confronti della quinta arte, tanto più se contemporanea: bistrattata, ridotta a puro design e merce di scambio, poco stimolata da concorsi pubblici, malamente comunicata al di fuori degli addetti ai lavori; occorrerà ripartire dalle scuole primarie per ricostruire un minimo di cultura architettonica condivisa. Eppure l’Italia, e in particolare Milano, è nel mirino di Rem Khoolaas, dominus della scena internazionale e migliore espressione di un rinnovato “International style”, ben sostenuto dalle multinazionali del cemento, che dallo “scatolificio” degli anni quaranta, che ha banalizzato il pensiero e le opere dei maestri del Moderno, è giunto ai sinuosi e spettacolari edifici della scuola di Rotterdam, per niente erede di quella classicista di Delft.

Nel Padiglione centrale, attraverso raccolte di testi, film, pubblicità e “diagrammi dell’evoluzione” si viene introdotti ad un lavoro sugli “elementi” architettonici – dalle maniglie alle scale mobili, nobilitati a “fondamenti” dell’architettura – oggetto di una ricerca della Harvard Graduate School of Design.
All’Arsenale “Monditalia, una scansione”, mette in scena, sul liet motif della multidisciplinarità, un mostra-ricerca sull’Italia, per analizzare che cosa è diventata: un grande palinsesto, decine di videoproiezioni di film made in Italy, da “Sciuscià” a “Milano Calibro Nove” – senza soluzione di continuità – teatri di danza e di posa dove giovani artisti celebrano movimenti artistici della nostra contemporaneità, purtroppo senza un pubblico davanti, e vivacizzano il grandioso spazio dell’Arsenale, dove fino al XX secolo venivano invece costruite solide navi già pronte alla battaglia…

Al G8 della Maddalena è dedicato un video (“La Maddalena”, di Ila Beka & Louise Lemoine) che vede partecipe Stefano Boeri sui luoghi del misfatto con il sincero racconto di un fallimento annunciato, come molte grandi opere italiane, dal Mose di Venezia al futuro dei siti Expo 2015, di cui il paese raccoglierà l’eredità materiale, non essendo pervenuta quella etica e morale. Altre sezioni sono dedicate ad esempio alle case prefabbricate dell’Aquila, (“L’Aquila’s post-quake landscapes” di Andrea Sarti e Claudia Faraone), quelle dei frigoriferi con la spesa già fatta ad uso televisivo; alla nuova “città ideale” di Milano Due, agognata meta di calciatori e olgettine (“Sales oddity. Milano 2 and the politics of direct-to-home tv urbanisme” di José Esparza Chong Cuy, André Jaque); infine al ritmo della fabbrica, ormai scolpito solo sul morbido legno, di quella che fu l’identità di Torino, dove il volto sornione di Marchionne campeggia tra le foto di un mondo del lavoro delocalizzato (“The business of people” di Ramak Fazel).

Una grande parete, “Radical Pedagogies: action-reaction-interaction”, tenta di mettere insieme le grandi esperienze collettive che dalla contestazione sessantottina dell’occupazione della Triennale (trent’anni dopo diversamente  rioccupata a livello istituzionale) all’architettura della partecipazione di Giancarlo De Carlo, hanno formato una generazione di architetti, della stessa età di Rem Khoolaas; il suo occhio terzo, spogliato del ruolo di archistar (“architettura, non architetti” è il sottotitolo della mostra) ed attraverso una analisi collettiva e per parti, mette il paese a nudo, con qualche voluta distorsione e superficialità forse per stimolare la riscossa (a partire dai dettagli delle maniglie?) e lo spettacolo è comunque eccezionale nella sua desolante realtà: la committenza pubblica non esiste più e nemmeno una classe dirigente in grado di concepire l’architettura come uno degli aspetti fondanti di una epoca, di una politica e di una società.

Altro tono per l’allestimento del Padiglione Italia a cura di Cino Zucchi, una strutturata e profonda ricerca a tema “Innesti/Grafting” e centrata su Milano, probabilmente in vista di Expo 2015; ad una sezione dedicata ai tifosi dell’ Esposizione Internazionale, con “innesti” di firme a volte inattese, si abbina una interessante ricerca sull’identità della città, riconosciuta nel suo DNA architettonico-sociale ed allestita in tematiche “case” che dividono in periodi e colori “il corpo della città”.

Nel suo epigono finale spiccano i grattacieli voglio-essere-nuova-york-ma non-posso ed i ritagli di cronaca quotidiana (Libeskind: “la mia torre ispirata al Duomo disegnato da Leonardo”, niente meno; Benevolo: “Le torri per Milano? Il progetto peggiore”). Sotto una grande capriata a due falde sono invece accolte, con uno scenografico allestimento in ferro ossidato a parallelepipedi tronchi, in dialogo con l’ambiente sovrastante, una serie di foto retroilluminate di selezionati progetti italiani contemporanei, tra cui il monumento a Garibaldi a Caprera di Pellegrini, il tanto discusso Expogate di Scandurra, gli edifici di Park e di Quattroassociati.

Oltre la soglia del Giardino delle Vergini, dove l’Italia è rappresentata in una scultura come un metaforico ottovolante proteso verso il nulla – sempre ottimisti! – la gustosa mostra “extra moenia” della indipendente Catalogna (Grafting architecture. Catalonia at Venice), dove i progetti della scuola di Barcellona – che insieme a Madrid e Porto, ha formato una recente e “militante” classe di architetti europei ben allenati alla cultura del “genius loci” – ritorna all’architettura nei suoi più apprezzabili “fundamentals”: schizzi, progetti, modelli, disegni esecutivi, immagini di lavori dove il confronto con la storia e la specificità dei luoghi diventa una prospettiva per il futuro, in versione anti globale; è finito il periodo di mistificanti rendering e video installazioni: “l’architettura non è un Martini” intitolava una celebre raccolta di aforismi sul Moderno.

Dalla passata Biennale di Kazuyo Sejima, che ha rinfrescato il minimal nel suo epos migliore, a quella politicamente connotata di Rem Khoolaas, dove architettura è in primis indagine del reale e visione del mondo, l’ambiente e gli spunti di riflessione valgono sempre un viaggio a Venezia, soprattutto nel momento storico attuale, in cui ci si aspetta grandi cambiamenti, dopo aver forse toccato il fondo: “recouler pour mieux sauter”.